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Carnevale: la “terra di mezzo” tra ragione e follia

Le origini del Carnevale sono molto remote e risalgono, addirittura, al 3000 a.C. Già un antico documento della civiltà babilonese, infatti, parlava di una festa in stile “carnevalesco” in cui i servitori e i signori si scambiavano i ruoli. Allo stesso modo, anche nell’antica Grecia e nell’antica Roma erano presenti similari celebrazioni -caratterizzate da giorni di smodati festeggiamenti e travestimenti- rispettivamente definite Dionisie e Saturnali.

Festeggiato persino nelle chiese, con l’intento di trovare un compromesso tra la severa dottrina cristiana e l’impulsiva voglia popolare di trasgredire, nella tradizione medioevale il Carnevale ha da sempre rappresentato la “festa dei pazzi” per antonomasia. La pazzia carnevalesca è da intendersi come un temporaneo rovesciamento dell’ordine sociale, al fine di esaltare la lucidità collettiva a fronte dei dogmi cristiani. Nel Carnevale, dunque, è insita una coscienza rivoluzionaria, che mira a denunciare la “pazzia dei dominanti”, attraverso una “pazzia festosa” dei dominati. Follia e ragione, così, si intrecciano per elaborare e rendere più fluide le rigide credenze e convinzioni religiose della collettività. In questa situazione confusionaria, la saggezza sclerotizzata viene derisa e il controllo del Super-Io (l’istanza psichica morale) viene messo a tacere, per dare libero sfogo ai bisogni e ai desideri più reconditi dell’Es.

Strettamente legata al Carnevale è la maschera. Tale manufatto, che si indossa per ricoprire l’intero viso o parte di esso, ha la funzione di rappresentare e dare forma a quella parte più libera e ludica dell’uomo. Mascherarsi, dunque, è stato da sempre non soltanto un modo per evadere dalla routine quotidiana e per sovvertire le regole, ma anche una modalità attraverso la quale poter proiettare le proprie aspirazioni o i propri sentimenti nascosti. E così, il Carnevale mette in rilievo proprio quegli aspetti oscuri che appartengono all’Ombra; dà luce a tutto ciò che c’è di più disdicevole nella psiche umana e che l’uomo tende a reprimere attraverso le proprie “maschere” moralistiche e di facciata.

Il riferimento a Jung, a questo punto, risulta alquanto inevitabile: i concetti di Persona e Ombra, introdotti dall’Autore, ben spiegano il senso psicologico del Carnevale. La Persona è uno degli Archetipi (immagini fantastiche primordiali) sui quali si fonda l’inconscio collettivo: la Persona può essere considerata come l’aspetto pubblico che ognuno mostra di se stesso; è il modo attraverso cui ogni essere umano “decide” di apparire nella società, sulla base di ciò che la società stessa si aspetta da lui. Essa rispecchia ciò che ciascuno vuole rendere noto agli altri e, come ovvio, non coincide necessariamente con ciò che realmente si è.
Alla Persona si contrappone l’Archetipo dell’Ombra, ossia quella dimensione inconscia che contiene tutto ciò che l’essere umano ritiene essere negativo, tutto ciò che rappresenta il male e che, perciò, deve essere allontanato dalla coscienza.

La “festa della pazzia”, allora, pone sotto una luce favorevole e accettabile gli aspetti negativi dell’Ombra (individuale e collettiva); il Carnevale consente di elaborare il materiale psichico occultato dai moralismi della Persona e lo fa, tra gli altri simbolismi, anche attraverso l’uso delle maschere che il più delle volte sono demoniache, tanto da apparire come una sorta di “materializzazione” delle tendenze malefiche alle quali, finalmente, è permesso di esteriorizzarsi. In questo senso, dunque, si può dire che il Carnevale si ponga un obiettivo quasi “psicoterapeutico”: dando la possibilità all’Ombra di emergere e di rappresentarsi, esso diventa un’occasione favorevole per integrare i contenuti rimossi con le altre parti di sé.

Questa festività, perciò, può essere vista come una sorta di contenitore in cui si assiste all’emersione controllata dell’inconscio a livello cosciente. Tale processo si concretizza grazie all’azione di alcuni meccanismi di difesa “maturi” che, oltre a riscontrarsi nell’individuo, contraddistinguono anche il rito del Carnevale. Essi sono l’umorismo, inteso come la capacità di prendere in giro se stessi e di rilevare il ridicolo delle situazioni; la repressione, ossia l’allontanamento cosciente dalla propria mente dei pensieri inaccettabili, che l’atmosfera carnevalesca certamente facilita; l’altruismo, con l’accezione di privilegiare la convivialità e, infine, la sublimazione, cioè quel processo inconscio attraverso il quale le pulsioni inaccettabili vengono incanalate in alternative socialmente accettabili che, relativamente al Carnevale, trova concretezza in termini di creatività. Così, attraverso l’egida delle difese mature, l’Es può manifestarsi alla coscienza, liberando in maniera “creativa” le pulsioni che, generalmente, risulterebbero intollerabili.


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Dott.ssa Psicologa Psicoterapeuta Maria Teresa Allemma

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