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Ri-unirsi nell’assenza. Il lutto come esperienza trasformativa

Affrontare il lutto - Campi di grano Van Gogh

Nel suo Saggio del 1917, Lutto e melanconia, Sigmund Freud definisce il lutto come la reazione alla perdita di una persona amata, ma il concetto è esteso alla perdita di qualsiasi altra astrazione quale, per esempio, la libertà, gli ideali, l’amore, la salute, la giovinezza e così via.
Freud sottolinea che il lutto è un periodo necessario di dolore a seguito di una perdita, durante il quale ci si distacca dal mondo esterno per cercare tracce di sopravvivenza di ciò che è stato perduto. È la risposta affettiva ad una perdita che devasta e sconvolge il modo di vedere e di vivere la vita.

Per Carl Gustav Jung, invece, il lutto è da intendersi come una modalità della vita stessa. Vita e morte sono interconnesse, in quanto tutta la vita è cambiamento, perdita e morte. La vita, infatti, è un ciclo continuo ove tutto cambia e tutto muore; la crescita stessa dell’uomo è un processo di morte: l’infanzia, l’adolescenza e l’età adulta, sono tutte fasi del ciclo vitale che, crescendo, sono destinate a “morire”.
Il lutto, perciò, è concepito come accettazione del mistero della morte e ricerca continua di risposte.

Se per Freud, allora, il lutto è un processo psichico e clinico incentrato sull’accettazione della morte dell’Altro, per Jung si tratta di un processo filosofico che aspira innanzitutto all’accettazione quotidiana della morte di sé, che si compie attraverso le fasi di transizione che ogni essere umano è destinato a vivere.
Sebbene, dunque, vi siano delle differenze teoriche che contrappongono queste due visioni, il valore intrinseco del lutto è identico per entrambi: si tratta di un processo.

Quando si perde ciò che si ama, il mondo esterno è percepito come più povero e più vuoto, e nulla sembra avere più senso. Affinché l’esperienza della perdita non si ripercuota negativamente e patologicamente su colui che l’ha subita, è fondamentale che il lutto si trasformi in un lavoro di accettazione che, certamente, richiede tempo e sofferenza.

Freud suggerisce che di fronte all’esperienza della morte, si possono osservare tre differenti reazioni. La reazione maniacale rappresenta una negazione della perdita. Si tratta di una “anestetizzazione” di quel dolore psichico che, inevitabilmente, la morte di una persona cara porta con sé. L’Oggetto d’amore, ormai non più tangibile, non viene pensato, ma è immediatamente sostituito con un nuovo Oggetto: la speranza è che la ferita tracciata dalla perdita venga ricucita senza lasciare traccia di sé. Il tipico attivismo maniacale, dunque, “distrae” il soggetto da un dolore che, per sua fragilità psichica, non può concedersi di sentire.

La reazione melanconica, contrariamente alla precedente, rappresenta una cronicizzazione del lutto. Essa si caratterizza per un profondo e doloroso scoramento, un totale disinteresse per il mondo, per cui il lutto diventa uno stato d’essere piuttosto che un lavoro di accettazione. L’Altro viene idealizzato diventando, così, insostituibile e impossibile da dimenticare.

È chiaro che maniacalità e melanconia si configurano quali risposte di un lutto fallimentare, in cui l’esperienza della perdita è resa francamente improduttiva.
Perché l’evento traumatico, invece, diventi occasione di trasformazione generativa, è importante che il lutto venga elaborato: il processo di elaborazione, infatti, rappresenta l’unica reazione “sana” di fronte alla perdita.

I pilastri sui quali si fonda il processo di elaborazione del lutto sono sostanzialmente quattro, primo fra tutti, il tempo. Accettare la morte di una persona cara non è qualcosa che può accadere in un lasso di tempo limitato: è il vivere quotidianamente l’assenza fisica, giorno dopo giorno, che permetterà di rendersi conto che la persona perduta non c’è davvero più. Tale consapevolezza, ovviamente, non può concretizzarsi in pochi giorni, ma ha bisogno di costruirsi gradualmente: è per questo che non possono esistere lutti rapidi.

Il dolore psichico è lo stato emotivo attorno al quale ruota la quotidianità di chi vive la perdita. Inizialmente è così straziante, da non lasciar intravedere alcuna possibilità di consolazione: gli occhi, il cuore e la mente di chi perde una persona cara sono inondati di disperazione. Tuttavia, darsi l’opportunità di accedere ad un piano emotivo così profondo e toccare la sofferenza più estrema, permette di vivere e di sentire quel dolore affinché se ne conosca ogni minimo particolare: soltanto attraversando il dolore si può giungere ad un’accettazione autentica della perdita.
I giorni del dolore, però, sono anche i giorni in cui più frequentemente si parla della persona defunta.
La memoria, dunque, ricopre un ruolo essenziale nel processo di elaborazione del lutto: riportare alla mente il ricordo di chi non c’è più, è una funzione psichica fondamentale nel processo trasformativo. Attraverso i ricordi e i racconti degli avvenimenti passati, trascorsi insieme all’Altro, la mente prende consapevolezza di un nuovo presente.
Il processo di elaborazione del lutto, tuttavia, può dirsi compiuto soltanto nel momento in cui la persona può concedersi di dimenticare. L’oblio, invero, rappresenta sorprendentemente un passaggio necessario nel lavoro trasformativo: tutto il tempo che ci si è concessi per sentire il dolore e per ricordare chi non è più presente, ha consentito di incorporare la persona perduta; l’Altro, adesso, può continuare a vivere dentro colui che è ancora in vita. L’assenza fisica è stata trasformata in presenza interiore, ed è solo adesso che l’evento morte (con l’accezione di perdita) può essere “dimenticato”.

L’assenza dell’Altro, dunque, può essere sostituita con una nuova presenza solo dopo averlo a lungo ricordato e solo dopo aver attraversato la sofferenza, vivendone ogni sua sfumatura. In questo modo sarà possibile ricucire, curare e cicatrizzare la ferita inferta dalla morte, in modo tale che rappresenti per sempre il segno di un’esperienza negativa ma necessaria per la propria crescita personale.

Dunque, la domanda a cui risponde il processo di elaborazione del lutto è: cosa posso fare con il mio dolore? Nel momento in cui il processo trasformativo della perdita consentirà di liberare la libido (spinta vitale) dai legami che la vincolavano all’Altro, al fine di reinvestire sul mondo esterno, allora il lutto sarà stato elaborato davvero e il dolore avrà trovato una nuova destinazione.


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Dott.ssa Psicologa Psicoterapeuta Maria Teresa Allemma

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