Area Psico-affettiva


Il compito più importante che ad ogni individuo viene richiesto è sicuramente quello di svilupparsi, ma il processo di crescita -che inizia ancor prima della nascita e si snoda sino all’età matura- anche se in buona parte predeterminato geneticamente, è estremamente complesso e assolutamente non scontato. Un sano sviluppo della personalità, così come una buona organizzazione delle diverse funzioni psichiche, dipendono da un’adeguata maturazione delle sfere affettivacognitivasociale.

Ogni fase del ciclo vitale presenta sempre nuove sfide che chiedono di essere superate, ma spesso vengono utilizzate modalità disfunzionali per affrontare i nuovi compiti evolutivi. Sapere cosa accade (o cosa sia accaduto) nel mondo psichico del bambino nei primi anni di vita, significa analizzare i vari fattori che influenzano l’evoluzione e questo permette di interpretare gran parte di ciò che egli vive negli anni successivi.

Bambino

“L’infanzia è il suolo sul quale andremo a camminare per tutta la vita.”
L. Luft

L’infanzia è quel periodo della vita compreso tra la nascita e i 10 anni circa, che rappresenta un lasso di tempo relativamente lungo e determinante, ove ricoprono particolare importanza le relazioni instaurate con le figure di riferimento: la presenza costante dei caregivers, il soddisfacimento e la frustrazione dei bisogni, nonché la capacità di contenere le emozioni del bambino, costituiscono le fondamenta sulle quali si costruirà il futuro adulto.

Oltre ai genitori, in questo arco temporale risultano essere figure di spicco anche gli insegnanti, il gruppo dei pari e gli educatori nel senso più ampio del termine.

A partire dalla nascita, ogni bambino deve attraversare delle fasi di sviluppo che comportano crisi evolutive: quando i sintomi distintivi di tali crisi assumono carattere di rigidità, anacronismo e irreversibilità, allora ci troviamo di fronte a psicopatologie infantili.

Di qualunque natura sia il disagio, il bambino nei primi anni di vita non sarà in grado di esprimerlo attraverso le parole, ma comunicherà agli altri il proprio malessere servendosi del corpo e delle condotte fisiologiche. Soltanto a partire dai 6-7 anni egli sarà in grado di definire e dare un nome alle proprie emozioni, mentre la conoscenza del corpo sarà finalizzata al rendimento intellettuale. Non di rado, tuttavia, questo “passaggio” non si verifica, perciò il corpo rimane l’unica sede di espressione del disagio che dà origine ad una serie di sintomatologie somatiche.

La manifestazione di sofferenza che, molto spesso, risulta essere insopportabile per il bambino, può palesarsi in specifiche situazioni in cui egli si trova coinvolto o, al contrario, indipendentemente dal contesto di riferimento. Tutto questo, oltre ad alterare il suo percorso evolutivo, pone i genitori e tutto il sistema familiare di fronte ad una situazione complessa e difficile da gestire. Richiedere l’aiuto dello psicologo vuol dire aiutare i diversi membri della famiglia ad affrontare un momento di vita particolarmente problematico.

Adolescente

“Adolescenza: la più delicata delle transizioni.”
V. Hugo

Sebbene i suoi confini cronologici siano oggi molto labili e meno definiti di un tempo, ci si riferisce all’adolescenza “propriamente detta” come a quel periodo di crescita che va dai 12 ai 14 anni, ma che viene anticipata dalla pre-adolescenza (10-12 anni) e seguita dalla post-adolescenza (14-18 anni).

È un momento estremamente delicato -segnato da separazioni e scelte- che sottintende una grossa trasformazione sia di carattere fisico che psicologico. Il corpo diventa l’elemento centrale attorno al quale si costruisce l’identità. Le caratteristiche somatiche e sessuali, però, sono più evidenti e più veloci rispetto alle trasformazioni psicologiche che, invece, procedono più lentamente; da qui emerge una disarmonia che crea sofferenza e turbolenza: il corpo è sentito come estraneo e percepito come brutto, per questo frequentemente compaiono le cosiddette dismorfofobie.

Altro tema tipico dell’adolescenza, è l’ambivalenza tra la paura del nuovo e l’attrazione per il nuovo: in questa tematica ricopre fondamentale importanza la ritualità, che rappresenta l’escamotage migliore per superare questa antitesi. Per l’adolescente, dunque, sono necessari i riti di passaggio: se la famiglia non è in grado di offrirne di già consolidati, egli provvederà a crearseli autonomamente esponendosi a situazioni rischiose che siano in grado di regalargli “emozioni forti”.

Ovviamente, tutto questo coinvolge inevitabilmente la famiglia perché, se da un lato il ragazzo sta perdendo la propria infanzia, allo stesso modo anche i genitori stanno perdendo il proprio bambino: tutti sono esposti ad un lutto adolescenziale. La crisi dell’adolescenza, presentandosi attraverso una serie di “sintomi caratterizzanti”, è di per sé definita come una sorta di psicopatologia fisiologica: dunque, il ruolo dello psicologo-psicoterapeuta sarà proprio quello di distinguere i sintomi di natura transitoria da quelli tipicamente patologici, promuovendo la risoluzione dei conflitti interni e aiutando l’adolescente ad ascoltare e a riconoscere i propri bisogni.

Adulto

“Il viaggio più difficile di un essere umano è quello che lo conduce dentro sé stesso alla scoperta di chi veramente egli è.”
C. G. Jung

Con la fine dell’adolescenza -che si colloca poco più in là della maggiore età- si fa ingresso nell’età adulta. È difficile formulare una definizione di questa grossa fetta di vita, ma si sa con certezza che è intrisa di importanti eventi e cambiamenti che caratterizzano i vari stadi in cui questa si divide.

Durante la giovinezza, collocata all’incirca tra i 20 e i 30 anni, l’individuo esce dalla casa paterna per fare ingresso nel mondo universitario o lavorativo: questo gli permette di differenziarsi dai genitori per definire la propria identità, attraverso un percorso graduale di emancipazione. Pressappoco tra i 30 e i 50 anni il soggetto entra nell’età matura, caratterizzata dalla scelta del partner e dall’eventuale costruzione di un’identità di coppia attraverso la convivenza o il matrimonio: si ridefiniscono le relazioni, i ruoli e le competenze rispetto alle famiglie estese. La fine dell’età matura, poi, segna l’inizio della terza età che termina intorno ai 70 anni. Ci si avvicina al pensionamento e si manifestano i primi segni fisiologici dell’invecchiamento: il graduale declino cognitivo e la comparsa di sintomatologie fisiche pretendono, necessariamente, un ri-adattamento psicologico da parte del soggetto. Dai 70 anni si accede alla quarta età, che delinea -paradossalmente- una delle più importanti fasi della vita: i segni dell’invecchiamento e della senescenza sono ora più evidenti, i ritmi lenti si sono sostituiti alla frenesia di un tempo e ci si prepara ad accogliere gradualmente la conclusione del ciclo vitale.

Ogni step, dunque, è contrassegnato da eventi fisiologici, ossia cambiamenti naturali ai quali ognuno è esposto ma, purtroppo, molto spesso si presentano anche eventi inattesi che vanno a minare l’equilibrio psicofisico non solo del singolo, ma anche della sua famiglia.

L’aiuto dello psicologo-psicoterapeuta, in questo lungo periodo di vita, risulta essenziale su un doppio binario: se da un lato supporta l’individuo nell’elaborazione degli eventi non normativi, dall’altro lato favorisce lo sviluppo di risorse interne che possano essere più funzionali per affrontare i “passaggi fisiologici” che, per loro natura, rappresentano comunque momenti critici.

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